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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Ragusa

"Navigando da Lesina entrammo sul tramontare d'un bellissimo giorno nel porto di Gravosa, frequentato da grossi navigli, come l'unico sicuro di Ragusa. [...]. In oggi dell'antica attività commerciale, scomparsa col cadere della Repubblica, appena rimane memoria; ma lo straniero che da Gravosa s'avvia pel sobborgo alla città, s'arresta ad ogni passo colpito da una scena pittoresca e sublime. Da un lato il mare, dall'altro colli e il fiume Ombla, che scorre in angusto piano sparso di palazzi fabbricati d'ogni sorta, orti e giardini, i quali rendevano sì belli i contorni di Ragusa, oggi sì squallidi. […]. I montenegrini, alleati dei Russi, quando strinsero d'assedio Ragusa, ridussero a tale stato la valle, distruggendo e saccheggiando colla ferocia e l'odio proprio dei popoli barbari. Scorsero quarant'anni, ma i guasti non furono riparati, perché, caduta la Repubblica di Ragusa, i ricchi suoi cittadini o emigrarono, o caddero in tale povertà, che più non ebbero mezzi di ristaurare quelle loro campestri delizie. La tristezza che invade l'animo del viaggiatore al mirare tali guasti, non iscema, ma cresce entrando in città (pp. 182-183).

Ragusa, oggi capo d'un circolo, conta soltanto 6.600 abitanti, tra quali molti nobili caduti in basso dall'antica opulenza, e molti capitani di navi mercantili, che talora stanno assenti per anni dalla patria navigando nell'Oceano. La popolazione si distingue da tutte le altre della Dalmazia per singolare lindura d'abiti, urbanità di modi ed istruzione più che altrove diffusa in ogni classe. Ben a ragione fu detto esser Ragusa l'Atene dalmata, poiché in essa le scienze e le lettere furono sempre con amore coltivate, e vanta una serie di chiari autori, alcuni di fama europea. La lingua slava, mentre nelle altre città marittime viene con mal inteso disprezzo abbandonata al popolo, a Ragusa invece si parla da tutti con eleganza, e si scrive, ed il Parnaso de' poeti illirici è composto quasi per intero di ragusei (p. 185). 

Fuori di Porta Plocce, vicino al Lazzaretto, avvi un recinto in cui ogni lunedì, mercoledì e venerdì vengono le caravane turche dei Bosniesi, talvolta numerose fino a 400 cavalli. È una scena pittoresca vedere entrare quella frotta d'uomini e donne spiranti miseria nel recinto dove non havvi che una fontana, guardata a vista dagli ufficiali di sanità, mentre sulla porta stan pronti a fulminare colla mitraglia i Bosniachi a qualsiasi tentativo di violare le severe leggi sanitarie. Questi uomini semi-selvaggi, di fisionomia scarna e abbronzata, truce lo sguardo, coi lunghi fucili, le indivisibili pistole e la sciabola in cintura; le donne, che ricoperti di cenci, serbano nella vivacità degli occhi e nel grave portamento l'impronta delle razze orientali, offrono l'aspetto di un accampamento di Beduini. Le caravane portano pelli, lana, cera, miele, carni salate, frutta secche, e provvedonsi di panni, cotonerie, utensili e manifatture di prima necessità (pp. 184-185)".