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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Dernis

"Dopo solo due ore di vettura da Razvadje, si scende nella borgata di Dernis, lasciando a nord, dietro le spalle, il Promina. Dico «si scende», perchè il paese che apparisce dall'altipiano nitidamente, in una grande macchia verde, sembra costruito in fondo ad una caldaia. La prima impressione di Dernis è ottima: vi si incontrano tosto persone civili, e il superbo Petrovopolje, ossia campo Pietro, con le sue lussureggianti seminagioni, bagnate dal piccolo Cikola, le dà un'aria di benessere. La via principale molto spaziosa scende ancora fino al fiume Cikola, ed è fiancheggiata da bellissimi edifizi moderni. Giù, dal ponte sul fiume Cikola, osservate tosto due cose: primo, che la vecchia Dernis era costruita sul fianco del monte, in cima al quale sorge tuttora, quasi diroccata, una moschea col suo minareto, mentre la Dernis moderna tende ad allargarsi alle falde del monte; secondo, osservate con ammirazione le balze grigie, gigantesche, imponenti, attraverso le quali, al di là del ponte, scorre il fiumicello. […]. Della vecchia Dernis, ci parlano le cronache delle guerre turchesche. Doveva essere una città molto vasta, con una fortezza considerevole: i turchi la chiamavano la «piccola Sarajevo», ed uno storico afferma che aveva una popolazione di 20,000 famiglie. […].

Soave è il cielo di Dernis, stupenda ne è la campagna, fantastico il panorama. Numerose famiglie onorano il paese, con la loro intelligenza, con la loro iniziativa, col loro senso di civiltà. La borgata è un emporio montano floridissimo, principalmente per foraggi e granaglie. Ahimè, tutto ciò è oscurato dall'ombra d'una pianta gigantesca che vi fiorisce rigogliosamente: l'usura. N'ebbi in proposito informazioni spaventevoli. Mi permetto di richiamare ad alta voce l'attenzione delle pubbliche autorità su questo argomento. S'era al caffè e si parlava in proposito. — L'usura in questa borgata — disse un signore — è rialzata al grado di scienza positiva. Nulla spaventa il nostro usuraio, meno di tutto la legge contro l'usura. Sono arpie, vampiri, assassini del popolo: di fronte a loro qualunque ebreo viennese è un gentiluomo. — Si figuri — soggiunse un altro — che sul nostro fertilissimo Petrovopolje sono centinaia di campi abbandonati per mancanza di braccia: ridotto alla miseria più squallida, il nostro popolo emigra. — Mi consta — riprese un terzo — che un contadino pagò ad un usuraio di qui «un suo pobratim» 54 fiorini per una berretta rossa che costa un fiorino e qualche soldo. Per una ricevuta richiesta dal contadino perplesso, il pobratim Shylock gli fece sborsare ancora fiorini 1,50. […]. Dovete sapere che in ogni borgata, principalmente a Dernis, è organizzata una camorra fra gli usurai, con uno statuto di prammatica, il di cui primo paragrafo vieta assolutamente di aiutare un contadino caduto negli artigli d'un affigliato alla camorra" (pp. 437-441). 

"Nel pomeriggio, feci una volata a Siveric, per visitare le cave di carbon fossile, sulle alte falde del Promina. Ci si va in vettura per una strada molto erta. La Società carbonifera austro-italiana del monte Promina, che ora possiede quella cava, fa ottimi affari, e le sue azioni sono ricercate. M'accolse gentilmente l'ingegnere e direttore dei lavori. Mi accompagnò nella lunga galleria e mi raccontò che, fra breve, se ne sarebbe aperta una seconda, a 40 metri sotto la prima. Entriamo nell'umida e tetra galleria. Lavorano, in fondo alla gola, 180 operai, di giorno, ed altrettanti di notte. Ci precedevano sei operai con fiaccole enormi ad olio, e l'esimio direttore mi spiegava mille dettagli tecnici che m'interessavano mediocremente, perchè ero tutto preoccupato dalla sorte dei minatori in quell'antro oscuro, e dei mille pericoli di vita a cui si espongono gli infelici per guadagnarsi un tozzo di pane. […]. Scendendo dalla galleria, si giunge alla stazione ferroviaria di Siveric. Il treno doveva presto arrivare e condurmi a Sebenico, dove avevo progettato di pernottare, per proseguire, il giorno appresso, da Scardona, il mio viaggio a zig-zag attraverso la Dalmazia montana" (pp. 443-444).