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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Verlicca

"Nessun incidente durante il viaggio da Sinj a Verlika: la strada bellissima, carrozzabile, s'erge verso nord attraverso un panorama montano abbastanza monotono. Dove la strada cessa di salire, ci fermiamo all'osteria Ribarich, una vera arca di Noè. Una parete di quell'arca è tappezzata con avvisi di diverse lotterie, promettenti le solite vincite spettacolose. Il maestro popolare di Verlika che viaggiava meco, legge la vincita di 100,000 fiorini e ci si mette a filosofare disperatamente. Egli non poteva, neanche con la fantasia, immaginare tale somma. Che cosa ne avrebbe fatto? Prima di tutto, avrebbe rinunziato telegraficamente al meschino posto di maestro... Glie lo credetti.

Dopo altre due ore di viaggio, si scorge biancheggiare la borgata di Verlika, mollemente adagiata alle falde d'una collina sormontata da un nudo picco fortificato. Poco prima, a destra, ammirai il monastero greco-ortodosso di Dragovich, con l'annessa chiesa, in posizione amena, sulla riva sinistra del Cettina. Le prime case di Verlika e tutto il panorama della borgata predispongono bene di primo acchito il viaggiatore: sembra una sultanina alpestre. L'albergo che vi accoglie è molto decente, ma, se siete conosciuto in paese, non potrete profittarne, perchè numerosi saranno gli inviti cortesi d'ospitalità per parte dei migliori cittadini. […]. 

Eccoci tra le macerie del castello. Esso doveva far parte di una stessa linea di fortificazioni, coi castelli di Knin, Sinj, Vrgoraz, Imoski e Ljubuski. I turchi, nei primi tempi delle loro invasioni, erano maestri nell'arte di fortificare le vette più importanti dei paesi a loro soggetti, e ne diedero prova in Dalmazia. Ma non è ciò che c'interessa maggiormente: dalla roccia su cui sorge il castello storico di Verlika, noi comprendiamo l'importanza strategica della situazione ed ammiriamo, con occhio artistico, un panorama sfarzoso: […]. I mille abitanti di Verlika non hanno diritto di lamentarsi della natura: essa fu verso il loro paese generosissima: forse per ciò lo sono essi verso lo straniero.

A pochi passi dalle prime case della borgata, alle falde dello Svilaja, è la celebre sorgente di Verlika, la «cesma». Vi si accede per un largo viale ombreggiato, come sono ombreggiate la rotonda e la fontana coi suoi sei zampilli. Tutto intorno un ampio parco. Di estate, quell'acqua benefica scorre da tre soli zampilli e ne profittano numerosi ospiti che vi accorrono non pure per deliziarsi in quella Gastein dalmata, ma per oggetto di cura. Infatti, l'acqua diuretica, rinomatissima, di Verlika è indicata per varie malattie, principalmente per affezioni alla vescica. L'analisi fattane recentemente da un istituto geologico primario d'Europa ne documentò scientificamente l'efficacia: […].Tutto l'ambiente che circonda la fontana è sommamente poetico, direi quasi atto ad alleviare malanni morali: vispi usignuoli ti rallegrano lo spirito col loro canto melodioso, il cielo è puro e sereno, l'aria mitissima, l'orizzonte trasparente, e sui fianchi dello Svilaja un folto bosco con viali profumati ti seduce irresistibilmente invitandoti alle miti escursioni delle stazioni climatiche. Purtroppo ancora il paese non offre agi e comodità a numeroso concorso di forestieri. Ma quando si sarà provveduto a ciò, Verlika sarà una delle stazioni climatiche estive più ricercate e più frequentate dell'Austria. Appena vista, la paragonai a Gastein, nè, per la bellezza dei suoi dintorni, credo d'aver esagerato. […].

Nella sua posizione più deliziosa sorge il nuovo edifizio municipale, un piccolo gioiello di architettura moderna: il pianoterra ne è diviso in una sala destinata a varie circostanze solenni, o a ritrovi sociali eccezionali, e in un caffè, il quale, essendo il ritrovo quotidiano del ceto migliore, senza differenza di partito, potrebbe denominarsi «Club Concordia» e così, se non m'inganno, anche si chiama. Salgo al primo piano per salutare il podestà del paese, l'egregio Giuseppe Kulissich, gentiluomo perfetto e distinto, come suo fratello Simeone. Lo trovo nella sua stanza elegantemente decorata proprio all'europea. Egli mi presenta il segretario comunale, il festeggiato poeta slavo, Bressan. La nostra conversazione s'aggira sulle condizioni economiche della borgata e del distretto che sono tollerabili, per quanto i mancati raccolti di questi ultimi anni e la peronospora nei vigneti abbiano deteriorato il benessere pubblico.

— Pure, caro podestà, m'accorsi che qui infierisce l'accatonaggio! — È vero, ma esso non è la risultanza delle condizioni pubbliche: è piuttosto un parassita di provenienza straniera. Sul piazzale della casa comunale, ombreggiato e tenuto con gran decoro, incontriamo alcuni negozianti del paese, le autorità giudiziarie, il medico e il parroco cattolico, il gigantesco fra Krste, un simpaticone beneviso da tutti, senza eccezione. Lì si conversa, si chiacchiera, si ride, si chiassa fraternamente. Davvero, dal punto di vista sociale, Verlika è una borgata modello. Nel nominato caffè passai un paio di serate memorabili; riescirà difficile ai lettori comprendere che, in una borgata alpestre, si possa trovare un ritrovo civile tanto sereno, tanto geniale e confortante, e che Verlika sia, moralmente, così vicina ai migliori centri di Dalmazia. — Domani andremo a visitare la famosa grotta — mi dice il Bressan. — E nel pomeriggio visiteremo la cascata di Garjak — soggiunge fra Krste. — E da lì andrete al monastero di Dragovich — afferma un terzo amico; — come sapete i tre più rinomati monasteri greco-ortodossi di Dalmazia sono quello di Krupa sopra Obbrovazzo, quello di Sant'Arcangelo sul Krka, presso Kistanje, e il nostro di Dragovich. — E al vostro ritorno — mi promette il parroco greco-unito — vi mostrerò una mia collezione di monete antiche romane, scavate nei dintorni di Verlika. Tutto un programma di escursioni. — Se vi piacciono le escursioni difficili, andremo insieme fin sulle vette del nevoso Dinara! — dice il podestà, toccandomi nel vivo.

M'interessava sapere alcunchè sui greco-uniti di Dalmazia e ne feci qualche domanda al rispettivo parroco, un sacerdote intelligente e serio. […]. A Verlika, figuratevi, i greco-uniti sono tredici o quattordici, e per essi lo Stato mantiene una chiesa, una casa parrocchiale e un sacerdote salariato profumatamente... […].

— Sono i paesani più industriosi del distretto, quei di Kijevo — osserva il mio compagno; —sventuratamente tra loro serpeggia lo scarlievo. — Come!... non venne ancora sradicato? — Tutt'altro; ora infuria più che mai. Ritengo che, in quel solo villaggio, centinaia di paesani siano afflitti dalla maledetta lue sifilitica. — E il governo non provvede?... — Provvide generosamente, nominando una commissione ed assegnandole 20,000 fiorini per le misure profilattiche necessarie. — Poi? — Poi, finì che la commissione consumò in spese di viaggio, in diete, ecc., la somma suddetta, senza aver guarito un solo di quei miserabili. — Incredibile!... — Più incredibile ancora che la su lodata commissione abbia riferito categoricamente che, nel nostro distretto, non esiste affatto lo scarlievo!..." (pp. 401-408). 

"Vicino a Verlika, m'impressionò, sur [sic] un breve campicello, un documento umano mestissimo: una povera donna circondata da numerosi bambini, tirava, sola, l'erpice. Notate che per un simile lavoro campestre ci vogliono sei buoi e due uomini, uno per stimolare le bestie, l'altro per starsene sdraiato sull'erpice. L'infelice campagnuola s'affaticava invece a tirare sola l'erpice, sul quale aveva adagiato una sua bambina: si fermava dopo pochi passi, ansante e sfinita, destando in me un senso di compassione suprema. Il sole dardeggiava spietatamente... — Dev'essere ben povera! — dissi al Bressan. — La conosco: è un'infelice vedova con sei orfanelli. Per somma sventura, giorni sono le rubarono una vacca che non era sua...

Quella stessa sera, al ritrovo sociale, volli provare il cuore dei signori di Verlika. Col cappello in mano mi rivolsi ad ognuno di loro per un po' d'elemosina, senza indicarne lo scopo. In pochi minuti nel mio cappello tintinnavano parecchi fiorini. Allora rivelai ai simpatici il nome dell'infelice che li avrebbe benedetti per la loro generosa oblazione. E rimisi quel po' di carità al Bressan, pregandolo di consegnarlo quanto prima alla povera vedova dell'erpice. Così fu. Venne la sventurata madre al Comune, tutta tremante. La vidi. Mio Dio, com'era lacera, povera, sdruscita! — Che cosa facevi ieri al campo? — le domandai. — Erpicavo, signore... — Hai molti figli? — Ne ho sei e sono vedova e poverissima. — Eccoti un po' di provvidenza, bada ai figli e un tozzo di pane non ti mancherà. Infatti, il podestà mi promise solennemente che, in memoria della mia visita a Verlika, a quella povera famiglia non sarebbe mancato un tozzo di pane. Ancora ne sono felice, ogni volta che ci ripenso" (pp. 411-412).

"Trovo nel mio album registrato un tratto etnografico caratteristico dei paesani di Verlika: la loro eccessiva curiosità. Ma è una passione ingenua ed innocua, la loro, uno sport patriarcale, scevro di qualsiasi malizia. Quando un paesano v'incontra, anzitutto vi saluta con molto rispetto, poi tosto vi domanda: «da dove siete?... vi fermate molti giorni tra noi?... siete ammogliato?... avete bimbi?... dove andate?... da dove venite?»... E cento altre cose. Voi potete magari rispondergli a rovescio, o fandonie, ch'egli non se ne accorge e continua olimpicamente ad interrogarvi. Ad uno che mi chiese quanti figli avessi, risposi: — Ottanta, e tutti vivi!..." (p. 415).