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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Monte Biocovo

"— Volete fare una gita sui monti ? — m'invitò un cortese amico. — Accetto con entusiasmo! Avvicinarmi quanto più al sole, in regioni pure e limpide, è una delle mie passioni predilette: […]. E si partì per tempissimo a piedi, per una strada secondaria, fino a Zagvozd. Dinanzi a noi, verso mezzodì, si ergeva imponente la giogaia del Biokovo, con le sue creste ancora ricoperte di candida neve: le sue falde sono ricche di bosco ceduo e i montanari ne profittano per l'industria del carbone ch'è uno dei loro mezzi di sostentamento. Hanno un'altra industria, ma oltremodo primitiva: fabbricano pentole di varie forme; lavorano piatti, fusi, cucchiai ed altri oggetti di legno, facendone uno smercio enorme. Riseppi che il governo s'era incaricato di raffinare alquanto quella loro industria, mandando tra loro un paio di operai stranieri che conoscevano l'arte del verniciatore e del tornitore. Dapprincipio, i montanari ne profittarono; ma ben presto ritornarono alle loro antiche forme rozze, dichiarando che cosi avevano lavorato, con successo economico, i loro nonni, e che così intendevano di proseguire. Peccato, perchè a quest'ora la loro industria darebbe risultati più lucrosi.

Poco distante dall'osteria e dalla chiesuola di Zagvozd, la strada mediterranea monta sul Turia, una ramificazione del Biokovo. Sulla più alta vetta scorsi, a fianco della strada, una larga pietra, su cui evidentemente dovevano essere incise iscrizioni illustrative circa la costruzione di quella superba strada che trae a Vrgoraz e alla Narenta. Ma qualcuno le cancellò a punta di martello. Chi mai poteva averne interesse?... Mistero. […]. Si sentiva frequentemente il bisogno di riposare e di ristorarsi con una piccola refezione, non escluso un sorso d'acquavite, indicatissimo per mitigare il freddo intenso di quelle alture. Finalmente s'arrivò alla più alta cima del Biokovo, meta di pellegrinaggi devoti e religiosi. Lo sguardo abbraccia da quella vetta un panorama gigantesco.

Lassù in cima, una chiesuola dedicata a s. Giorgio raccoglie intorno a sè ogni anno, il 23 aprile, centinaia di pellegrini. Il parroco che era con noi della comitiva, a malapena respirava, affranto com'era dalla fatica e dalla fame: mentre noi si mangiava, a lui era interdetto il cibo, chè, nella chiesa di San Giorgio, doveva, quel giorno di sagra, celebrare. Ascoltata la messa, senza il suono delle campane — da quell'altezza nessuno le udrebbe, tranne i pellegrini già raccolti intorno alla chiesa — si pranzò alla montanara: capretto arrosto allo spiedo ed eccellente vino. I montanari formavano gruppi oltremodo pittoreschi. Ancora una preghiera, ancora un'occhiata all'immenso orizzonte: l'occhio spazia sulla vicina Erzegovina e sul mare Adriatico: le grandi isole Lagosta, Curzola, Lesina, Lissa, Brazza e la penisola di Sabbioncello sembrano da lassù brevi punti, o linee sul mare superbo: Makarska ai nostri piedi, alle falde del Biokovo, sembra un paesello microscopico.

— Perchè i montanari raccolgono tant'erba prima di andarsene? — domandai al parroco. — Perchè — mi rispose — ritengono che l'erba di questa vetta sia un talismano potente per i loro greggi: questo è anzi uno dei motivi principali per cui s'arrampicano, con fede entusiastica, fin quassù. La nostra comitiva ritorna frettolosa sul Turia, non vi dico con quanti stenti alpinistici. E lì mi si presenta un bel spettacolo: sono migliaia di caprini ed animali lanuti, custoditi dai famigliari dei pellegrini. Le donne distribuiscono loro l'erba miracolosa del monte San Giorgio «perchè vivano, prosperino e si moltiplichino, così Dio e s. Giorgio li aiutino».

Un idillio completo! Gli animali mangiavano l'erba aromatica di San Giorgio con visibile entusiasmo, deplorando senza dubbio che la sagra non ricorresse più spesso — i gourmands. Del resto, i montanari hanno attenzioni speciali per il loro gregge. Ne conobbi qualcuno che, fino al suo ventesimo anno d'età, non era mai sceso dai monti, dove era vissuto sempre col suo gregge, affiatandosi intimamente, quasi affratellandosi con esso. — Avviene talvolta — mi raccontava uno di costoro — che una pecora, pascolando, venga morsa dalla vipera. Io me ne accorgo subito. E sai come la guarisco? Facilissimamente: le pungo ben bene, con un ago, le due mascelle, finché ne scorra tutto il sangue avvelenato. Così la salvo, senz'altri medicamenti. E quando il mio gregge è sparpagliato sul monte, basta che io dalla valle emetta un grido, perchè tutto si raccolga, in pochi istanti, intorno a me. Quando poi fa cattivo tempo, io mi metto a suonare la svirala, affinchè il mio gregge non si spaventi e non si disperda" (pp. 396-399).