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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

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"Dal centro del litorale dalmato, Spalato, iniziamo la nostra esplorazione nei paraggi montani di Dalmazia, verso nord, tra i morlacchi. […]. Una carrozza tirata da due forti cavalli mi conduce a Sinj. Sono quattro ore di viaggio [da Spalato]. Dapprima la strada percorre un tratto abbastanza piano, attraverso la verdeggiante campagna di Spalato" (p. 367).

"Sinj ha circa 2000 abitanti, mentre il suo distretto giudiziario ne conta 44,000 e si estende a sud fino alle falde settentrionali del Mossor, dove si rifugiarono gli ultimi nobili... pastori della contea di Poglizza. A primo sguardo si comprende la floridezza economica della borgata, centro di ricchi commerci e di traffici con la vicina Bosnia e coi vasti dintorni montani: larghe vie fiancheggiate da diverse case moderne, parecchi negozi e fondachi, una vasta piazza chiusa da palazzine aristocratiche, molte famiglie doviziose, due luoghi di ritrovo sociale, un nucleo di cittadini distinti, civili, colti. Tutti i mercoledì e i sabati vi ha il mercato di derrate rurali, di bovini, di cavalli; e via discorrendo, vi accorrono centinaia di montanari, dal tipo gigantesco e forte dal viso aperto ed espressivo.

Avvicinando alcuni cittadini e frequentando i loro ritrovi mi sorprese che, in quell'ambiente prettamente morlacco, tutti parlassero a preferenza l'italiano. Conoscono anche lo slavo, e benissimo; ma non lo adoperano nei rapporti sociali. Anzi ad un negoziante del paese che mi parlava, scherzando, il napoletano, domandai come avesse appreso quel dialetto. — Deve sapere — mi rispose — che, da anni ed anni, vengono qui negozianti dalla bassa Italia, specie dal Napoletano, ad acquistare bestiame cornuto e cavalli, quei cavalli di razza piccola, ma forti, snelli, nerboruti, che servono egregiamente nelle montagne e che qui appunto abbondano. Molti cavalli delle piccole carrozzelle napoletane sono comperati qui. Bazzicando coi negozianti napoletani, ne appresi il dialetto. Come l'aristocrazia piemontese parla il francese senza essere francese, o dirsi tale, i signani parlano l'italiano, ma non si dicono nè vogliono esser italiani. Sono slavi della più pura lega. Del resto conservano, in generale, buona memoria del dominio veneto, e ricordano con vanto che i veneti, aiutati dai morlacchi, liberarono — 200 anni fa — il paese dal dominio della mezzaluna. Ma, in quelle borgate, la Serenissima lasciò poche traccie del suo dominio: non trovai che un solo leone di San Marco sull'edifizio che serve ora di carcere; e sull'architrave dell'attuale caserma austriaca dei cacciatori a cavallo lessi questa scritta: A fundamentis erecta, Paulo Boldu provisor generalis.

Passeggiando sulla piazza principale — di cui un lato intero è occupato dalla chiesa e dal convento dei frati francescani, con annesso ginnasio — un amico mi avverte che i frati, nel loro vicino possesso di Citluk, avevano eseguito importantissimi scavi, rinvenendo molti oggetti romani, preziosi all'archeologia e alla storia. […]. Ero curiosissimo di visitare la biblioteca e il museo archeologico del convento. La prima, con 2000 volumi, ha poche cose notevoli. Più interessante il museo con avanzi romani della Colonia Claudia Aequum, o Aequitas, scavati appunto a Citluk. […]. Visitai anche il ginnasio diretto da quei religiosi. Esiste da 37 anni e, da 10 anni, causa la scarsezza di docenti abilitati, non è più pubblico, ma privato. Lo frequentano una cinquantina di alunni interni ed una ventina di esterni. È sovvenzionato dallo Stato con 4000 fiorini annui. Gli alunni, per lo più candidati alla cocolla, dopo sei corsi di studi ginnasiali, indossano l'abito, poi fanno l'anno di noviziato nel poetico convento di Vissovaz, indi studiano quattro anni teologia nel seminario di Sebenico, o di Makarska" (pp. 371-374). 

"Conversando d'altre cose con fra Joso e con gli altri frati, mi accorsi che in quel convento sono informati minutamente di tutto ciò che avviene in Dalmazia, non soltanto nel campo religioso, ma nel letterario e politico. Ond'è ch'essi godono, forse a ragione, fama d'influentissimi in tutto il distretto di Sinj. Ma suppongo che a torto si attribuisca loro un ascendente politico supremo e la missione di grandi agitatori, specialmente nei periodi elettorali. Li trovai patrioti convinti nel profondo del loro cuore, e nulla più. […].

La famosa giostra si corre il 18 agosto, su quel tratto di strada che va dal ponte alle prime case del paese. Vi accorrono forestieri da tutte le parti di Dalmazia e dalle provincie vicine. La festa è un'evocazione medioevale perfettissima e a chi vi assiste par di sognare ad occhi aperti. Meglio che una descrizione della cerimonia, con le annesse formalità, ve ne darà un'idea precisa lo statuto del 1833 che porta il titolo «Giostra Signana illustrata nelle antiche sue regole». Lo riproduco nelle pagine che seguono perchè è un documento raro, nè mai finora fu pubblicato. […]. Quanto al fascino della festa, allo scintillio dei vestiti, alle bardature superbe degli stalloni turchi, tutto ciò trasporta gli spettatori fantasiosi ad un torneo medioevale" (pp. 376-377).

"Intanto che si prepara la vettura che ci condurrà a Verlika, noi ci aggireremo tra i forti montanari, per prender nota delle derrate da essi portate al mercato. Questo ha luogo sul vasto piazzale che, a sud, fiancheggia la chiesa e si estende fino al Belvedere, una piattaforma degna del suo nome, giacchè da essa si apre una vista superba sulla vasta e verdeggiante campagna signana. Una quantità di negozianti venuti da paesi lontani, perfino dall'Italia meridionale, mercanteggiano bovini, cavalli e bestiame minuto. I cittadini della borgata fanno le loro provviste per i bisogni della famiglia e profittano di quel ritrovo ad intermittenze fisse per iscambiare quattro chiacchiere. Alcuni amici mi avvertono di notare il tipo caratteristico del berekin signano: è un essere morale incomprensibile, un individuo strano, un amalgama di facchino e di negoziante al minuto, una superfetazione dell'operaio, intelligente, avveduto, scaltro, sempre servizievole e premuroso, talvolta esilarante e necessario, tal'altra noioso e impertinente. È una casta: l'individuo predestinato nasce berekin, vive e muore da berekin. Nessuno lo chiama per nome, ma soltanto «berekin». Nè egli se ne adonta. Al mercato, le persone civili parlano fra loro italiano, esclusivamente italiano, tanto che vi sembra di trovarvi nella Galleria di Milano. Coi montanari però che non conoscono parola d'italiano, parlano la lingua del paese, la slava.

Noto la bellezza fisica della paesana signana e il suo vestito rimarchevole: su corpetto a vari colori e gonna bianca, porta una dalmatica lunga, turchina, senza maniche. La copertura del capo ne è abbastanza complicata, con le trecce a cerchio ornate di spilloni, di fermagli, di nastri di seta. Le domestiche signane sono ricercate in tutta la Dalmazia per la loro forza fisica, per la loro intelligenza, per la loro fedeltà. E mentre la mia vettura attraversa la piazza principale, veggo di sfuggita, alla finestra d'una palazzina aristocratica, gli occhioni curiosi, d'una bella maga dal visino poeticamente geniale. Conosco quel capolavoro di vezzi, d'avvenenza, di grazia: le avrei fatto i miei omaggi, se i cavalli, correndo a rompicollo, non me ne avessero tolta la visuale in un attimo. Nel mio spirito ne rimase però fissa l'immagine, come quella d'una superba visione artistica che mi accompagnò fino a Verlika" (pp. 400-401).