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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Bocche di Cattaro

"Sul cassero tutti hanno sussulti d'impazienza: tra breve ci sarà dato contemplare uno dei più fantastici, più grandiosi, più solenni spettacoli della natura, le Bocche di Cattaro. […]. Siamo all'ingresso trionfale delle celebri Bocche di Cattaro, la storica Albania veneta. È il più pittoresco e più vasto seno dell'Adriatico. Certamente, come direbbe un poeta, la natura, creandolo, ha voluto scherzare e chiamò a raccolta tutte le fate più bizzarre, più capricciose, più geniali. La sua topografia merita d'esser rilevata: un atrio maestoso e quattro magnifici laghi, o baie, a forma triangolare. Vi prego di non vantarmi i laghi svizzeri. Dall'atrio che principia subito all'imboccatura, s'entra nella baia di Topla, e da questa, attraverso lo stretto di Kombur, nella baia di Teodo. Segue la valle di Risano a cui si accede passando lo stretto delle Catene; poi, in fondo, il golfo di Cattaro con la città omonima che ne segna lo estremo confine. Nulla di più affascinante, di più irresistibile: per una lunghezza di oltre 40 chilometri, da Castelnuovo a Cattaro, s'estende il panorama gigantesco, insuperabile per bellezze naturali, per varietà di prospettive, per interesse storico. Questo interesse comincia a destarsi in noi, appena il piroscafo supera la punta d'Ostro. Fino al principio del nostro secolo, a sinistra dominavano i ragusei, a destra i veneziani. La repubblica minore colla sua fortezza di Castelnuovo sembrava affermasse la supremazia su tutto quel mare interno, per quanto la maggior parte di quelle rive appartenesse alla sua più potente rivale. […].

Più il piroscafo s'avanza e più il nostro spirito è colpito da nuove sorprese naturali, da nuovi panorami giganteschi, da nuove prospettive geniali e poetiche. Il paesaggio varia sempre ad ogni rotazione dell'elice. Non si rifinisce d'ammirare; si vorrebbe perpetuare nel cuore ogni dettaglio di quel pellegrinaggio memorabile. Più in là di Savina, s'apre a sinistra l'insenatura di Meljine, e a destra l'incantevole porto Rose. S'entra, per il canale di Kombur, nella baia di Teodo. In faccia a noi l'ubertosa riviera di Teodo con paeselli biancheggianti: lungo essa, manovra una parte della flotta austriaca. In fondo, a destra, la profondissima insenatura di Kartole, piena di fantastiche penombre. A sinistra, la nitida riviera di Bianca con mille riflessi dorati, con un'intonazione oltre dire patetica di colorito. Vi dimorava d'estate il principe di Montenegro, Danilo, assassinato nel 1861 sulla marina di Cattaro. Dai suoi alti monti nevosi scendeva a quella riviera romantica per respirarvi i benefici effluvi del mare e del bosco. La riviera di Bianca è una poesia. Tutto all'intorno la baia di Teodo, circondata da alti monti stranamente raggruppati, offre prospettive stravaganti. In essa si costruì recentemente un arsenale di marina che dà lavoro a quelle popolazioni.

Dirigendosi verso nord-est il piroscafo attraversa lo stretto delle Catene, chiamato così perchè, in epoche lontane, era realmente chiuso da catene. Il viaggiatore ha agio di concentrarsi per gustare le nuove meraviglie che lo attendono. Sulla riva destra delle Catene sorge il lindo paesello di Lepetane, dimora un dì prediletta di nobili veneziani e delle loro belle; a sinistra il paesello Camenari. Più in là di Lepetane una cappella romantica dedicata alla Madonna dei Risi: un bastimento carico di riso quivi si sprofondò, e l'equipaggio, salvatosi, fece erigere quella cappella votiva. Sulla marina di Lepetane noto un gruppo di donne vestite con abiti di colori così capricciosi e così vivi, che, dal cassero, sembrano un gran mazzo di fiori irradiato dal sole. Ed eccoci di fronte a Perasto" (pp. 303-307). 

"Si ripassa dinanzi a Perasto, e il vapore entra nel golfo di Cattaro: a sinistra la baia di Ljuta che, unendosi alla riviera di Dobrota, si protende in linea retta, da nord verso sud, fino a Cattaro, con parecchi paeselli romantici e casolari sparsi sulle falde montane. A destra, si presentano dapprima, in un'oasi verdeggiante, i due Stolivo, il superiore a metà di alto monte, l'inferiore alle sue falde. Indi la riva si distende con riflessi e panorami incantevoli fino alla borgata di Perzagno, con in mezzo la famosa chiesa cominciata a costruirsi un secolo fa, e non ancora ultimata. Dopo Perzagno, il paesello di Mula, e dopo pochi istanti, in fondo a quel cul de sac, coronato da superbe montagne alte fino a 1500 metri, la città di Cattaro. Chiusa da ogni parte, l'orizzonte ne è tanto ristretto che si sospetta d'esser giunti in capo al mondo. […].

La nostra fantasia è tuttora abbagliata dalle spiagge ridenti che, contrastando con montagne ripidissime e brulle, con le vaghe penombre di profonde vallate, con orizzonti or spaventevoli or sereni, con paesaggi oltremodo romantici, formano un quadro imponente di bellezze naturali. È un ricordo delizioso per tutta la vita, come quello del golfo di Napoli, del porto di Rio Janeiro, del Bosforo: poeti e artisti affermano che le Bocche di Cattaro, per ricchezza e grandiosità di scenario, superano il Bosforo.

La punta d'Ostro segna il confine della civiltà e della storia d'occidente. I vari dominii che si succedettero nell'antico Sinus rhizonicus, le vicende stravaganti dei secoli non tolsero a quei paraggi l'impronta orientale. Ne fanno fede l'etnografia, la psicologia, la religione dei bocchesi. Da un continente slavo con la costa orlata da oasi italiane, eccoci in terra prettamente slava, con pochi punti che furono un tempo sotto il dominio politico della Serenissima. E, accanto alla nazionalità slava della popolazione, emerge distintamente la chiesa greco-orientale" (pp. 309-310). 

"Oggidì si visita il Bosforo dell'Adriatico soltanto per ammirarne lo sfarzo pomposo, onde la natura volle abbellirlo, e per istudiare gli usi e i costumi di quelle popolazioni ai confini tra il progresso occidentale e la civiltà stazionaria dell'Oriente. Forti, coraggiosi, intrepidi, i bocchesi della riviera vantano fama secolare di valorosi marinai; e i montanari, quasi tutti d'origine montenegrina, occupano un posto primario nei fasti bellicosi, nelle imprese guerresche, negli annali nazionali del riscatto dal giogo ottomano. Per gli uni e per gli altri è chiusa per sempre l'epoca brillante.

Con la crisi della marina a vela decaddero le sorti economiche dei paesi al mare. Fino a pochi anni fa Dobrota, Perasto ed altre borgate rifulgevano come luoghi doviziosi, floridissimi, veri vivai d'armatori, di capitani mercantili, di capitalisti; ora sono paeselli miseri. E il valore dei montanari a che cosa serve, ora che ogni vetta dei loro monti è fortificata, ch'essi stessi vennero disarmati, e che, in generale, l'eroismo personale è soffocato dai mezzi moderni di guerra? In fine, manca eziandio l'obbiettivo principale, il turco. Sapete perchè s'è suicidato Marco Kraljevich, l'eroe leggendario dei canti nazionali serbi? Ve lo dirà un montanaro delle Bocche: «per protestare contro l'invenzione del fucile con cui un vigliacco può uccidere un eroe a mille metri di distanza!».

Pure, anche oggigiorno, troverete nella navigazione internazionale moltissimi capitani marittimi bocchesi. Sono rinomati per intrepidezza, sangue freddo e colpo d'occhio. E che i montanari delle Bocche non abbiano ancora perduta la loro tempra bellicosa, lo dimostrò, dieci anni fa, l'insurrezione del Crivoscie. Mezzo migliaio di crivosciani ebbero l'ardire di ribellarsi ad una monarchia potente, e senza una grossa spedizione militare, eseguita da due parti, con tutte le leggi della strategia e della tattica, gli insorti non sarebbero stati facilmente domati. In quell'anno, rammento benissimo, mi trovavo al molo San Carlo di Trieste e, col piroscafo lloydiano, partivano colonnelli e generali austriaci per la Dalmazia. Alla mia domanda, dove si recassero, mi fu risposto: «ad assumere il comando di truppe contro i crivosciani». Senza contare che il comando generale della spedizione era affidato al generale Jovanovich, morto testè, uno dei più energici e più acuti strategi [sic] dell'esercito austro-ungarico.

Soggiornando alle Bocche di Cattaro ed internandosi un pochino nel montano, in quel di Zupa, o di Pastrovicchio, si resta sorpresi del linguaggio colorito di quelle popolazioni. Parlano sentenziando finamente e filosofando, con una fraseologia sfarzosa e concisa. Hanno doti intellettuali insigni: te ne accorgi dalla loro avvedutezza, dal loro sano criterio, dalla loro potente forza d'intuizione. Una sera, in un convegno privato, si parlava delle vedove. Ad un tale che ne sparlava, una signora osservò: — Sai che cosa ne dice il nostro popolo? «È preferibile l'oro, anche per metà consumato, all'argento appena fuso». Evidentemente, è un paradosso colossale, lo so, ma grazioso. Un'altra volta si parlava del matrimonio, e un paesano sentenziò: — Piuttosto che unirmi in matrimonio con una donna che non mi persuada, preferirei, aggiogato con un bue, tirar l'aratro fino alla fine dei miei giorni..." (pp. 317-319).