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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Poglizza

"Proprio nel centro della Dalmazia litorale, vegetava, fino al 1807, una piccola contea, retta a sistema repubblicano. Era la contea di Poglizza, memorabile nelle cronache del dominio francese in Dalmazia. A Marmont spetta il vanto di averla distrutta, e ai pronipoti degli attuali repubblicani francesi quello di averla spogliata e saccheggiata brutalmente. Narrano i cronisti dell'epoca che i soldati del generale Marmont non rispettassero neanche le chiese e che passassero a fil di spada quanti poglizzani ribelli cadevano nelle loro mani. Ma ciò sarebbe il meno: il peggio si è che donne inermi e bambini vennero massacrati in massa dai «pantaloni rossi»; nè di ciò possono certamente vantarsi i figli della «grande nazione». […].

La contea di Poglizza — l'odierna Poglizza, senz'altro — coi suoi 230 chilometri quadrati di superficie, ha, dunque, per confini: il fiumicello Zrnovnizza ad ovest; il Mossor a nord; il fiume Cettina, fino a Duare, ad est; e a sud il mare da Stobrez ad Almissa. Quasi tutti i villaggi dell'antica contea esistono anche oggidì sulle falde delle Alpi litorali, altri se ne aggiunsero più tardi e la popolazione dell'ex contea che, secondo un'informazione di Vincenzo Dandolo, ascendeva, nel 1806, a circa 7000 abitanti, ammonta oggidì a circa 10,000 sparsi in 17 villaggi. Questi non formano più un comune politico a parte, ma la loro divisione amministrativa fra i comuni politici di Spalato, Almissa e Sinj, inflitta a quei ribelli dal Marmont, è rimasta inalterata fino ai nostri giorni. Del resto, il popolo continua a dividere la Poglizza in tre parti: l'inferiore, dal mare alle prime alture montane, ed è la Planina; la media, fra la Planina ed il Mossor; la superiore, al di là del Mossor.

— È al di là del Mossor — mi raccontava un poglizzano, — su quella giogaia inaccessibile, che i nostri nonni si ritirarono, salvando l'ultima orifiamma della nostra contea. E parlava con un certo orgoglio, scagliando dal loro cuore chi sa quante maledizioni ai soldati del Marmont, ai suoi decreti, alle sue forche. Mancando documenti positivi circa l'origine di codesta contea, conviene far tesoro delle tradizioni. Una delle tradizioni meno fantastiche dice che, al tempo delle guerre civili nei Balcani, alcune famiglie slave di Bosnia, per ¡sfuggire persecuzioni e vivere più libere, ripararono sul Mossor" (pp. 165-167).

"Della nobiltà poglizzana non rimane traccia. Essi domandarono due volte al governo austriaco la riconferma dei loro titoli nobiliari. L'ultima volta, nel 1826, la commissione araldica di Venezia dichiarò immaginaria la nobiltà della Poglizza «poichè parecchi erano li Comuni che al paro di que' della Poglizza venivano retti da capi ereditari che portavano il titolo di Knes, ossia capo, impropriamente tradotto conte». Senonchè, il più bel titolo nobiliare dei poglizzani moderni è la loro tempra gagliarda, la loro fibra d'acciaio. Ne ebbi una prova, recandomi alla cascata di Duare, come racconterò or ora. Le loro valli ubertose sono ridotte a modello della industria agricola. Col loro carattere fiero impongono a sè stessi certe norme patriarcali di cavalleria, ereditate con gli annali della loro bella storia. Formano un frammento di popolo, onde può inorgoglirsi la razza slava. Da Stobrez fino ad Almissa non un palmo di terra incolta. Notai una vigna piantata in piena sabbia, su terreno rubato al mare, e ne rimasi altamente sorpreso. Non profittai dell'ospitalità dei poglizzani, perchè non mi internai nel loro paese; ma, prima di arrivare in Almissa, mi fermai ad un casolare e chiesi, verso pagamento, un bicchiere del rinomato prosecco spumante che cresce appunto sulle loro colline. Difficile trovare un vino più generoso, più refrigerante, più soave. Il sole brillava su quelle convalli, e sul mare, terso come uno specchio, si rifletteva quella patria montana di eroi" (p. 170).