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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Salona

"— Dunque, mio caro Bulic, che cosa c'è da vedere a Salona; ossia, quali sono gli scavi più importanti eseguiti finora? — Così intavolai una conversazione archeologica con l'ottimo conservatore del magnifico museo di Spalato, un erudito studioso e fortunatissimo nelle sue indagini scientifiche. È una delizia discorrere con lui della Dalmazia romana: la di lui mente contiene un'enciclopedia di antichità classiche. — Troverai ricordi preziosi di Salona romana: un bellissimo anfiteatro dell'epoca degli Antonini, del II secolo; una necropoli cristiana del IV secolo; un battistero cristiano pure del IV secolo; un cimitero cristiano colossale, con annessa basilica, dal II al V secolo con moltissimi sarcofaghi; poi il profilo delle mura di cinta e le porte della città e cento altre cose degne di studio e d'ammirazione.

— E iscrizioni? — Quanto a iscrizioni, Salona è una fonte inesauribile. Il prof. Hirschfeld, il continuatore del Corpus Inscriptionum Latinarum del Mommsen, sta raccogliendo in un grosso volume le iscrizioni latine trovate in Dalmazia: di Salona ce ne sono circa 3000. Io solo ne raccolsi, in otto anni, 1660 e le pubblicai quasi tutte nel nostro Bullettino di archeologia e storia dalmata. — Sono facili gli scavi a Salona? — Non tanto: talvolta si deve scendere sino alla profondità di circa cinque metri, essendo stata Salona, nel corso dei secoli, ricoperta dalla terra del monte vicino, il Caprarius (Kozjak). — E lo Stato contribuisce alle spese?... — Certo, senza i suoi sussidi non si farebbe nulla. Lo Stato dà per gli scavi di Salona 2000 fiorini all'anno; per il museo 1000 fiorini all'anno; per i ristauri interni del duomo si sono spesi 60,000 fiorini; 50,000 fiorini è costata l'armatura di legno per gli attuali ristauri del campanile; il ristauro del celebre campanile stesso costò finora 24,000 fiorini e ingoierà una somma molto più considerevole. Sono lavori diffìcili, minuti, costosissimi. — E per isolare tutta la casa superba di Diocleziano ci vorrebbero?... — Milioni e milioni: neanche pensarci, per ora! Lasciamo dietro a noi le ultime case di Spalato, gli ultimi bastioni veneti ridotti a vari usi, le villeggiature moderne degli spalatini, ed incamminiamoci verso nord per una strada ampia che conduce a Clissa e nel cuore della Dalmazia montana. Fino a Salona è una passeggiata piacevole di un'ora. La strada sale dapprima leggermente. Giunti alla sommità del pendio, ci si presenta un panorama ameno. […]. Attraversiamo il ponte sul Giadro. Siamo forse nel perimetro dell'antica Salona, attualmente un paesello malsano di poche centinaia di abitanti. Il solo «Caffè Diocleziano» indica che i lontani pronipoti dei salonitani antichi non iscordarono il nome dell'imperatore geniale a cui l'antica Salona doveva il suo secondo ed ultimo periodo di floridezza. Alcune iscrizioni romane murate nelle casupole moderne, insieme ad altri frammenti ornamentali di quell'epoca, vi diranno che gli scavi di Salona non si eseguirono sempre a scopi scientifici" (pp. 125-127).

"Per visitare le rovine memorabili, si seguono le tracce delle mura — grosse in certi punti otto metri, — ridotte ad ampio viale campestre. Intorno, il vostro sguardo spazia sur [sic] un colle coltivato a vigneti, a ortaglie, ad oliveti. Sotto il colle giace in frantumi una delle più belle glorie della Dalmazia romana, la Colonia Martia Julia Salonae. Precisamente sotto questo titolo, il Bulic pubblicò una monografia affascinante. Dalle sue indagini e da quelle d'altri studiosi del mondo romano, risulta che 88 torri — alcune quadrilatere, altre pentagone, — erette probabilmente da Diocleziano, completavano le fortificazioni della grande città. […]. Si contempla a lungo quelle rovine eloquenti: esse vi parlano della gloria d'una città potente che aveva una periferia fortificata di oltre 4000 metri e una superficie di 750,000 metri quadrati. Quasi a ridosso delle mura antiche, ma fuori di esse, vicino alla porta Capraria, vi sorprende una visione cristiana, il nominato cimitero cristiano con una basilica. […]. Sull'architrave della porta maggiore si legge: «Deus noster propitius esto Reipublicae Romanae» (Il nostro Dio sia propizio allo Stato Romano). E dinanzi a quella porta, una tomba con la lapide recante l'iscrizione in lingua greca. Ne feci le mie meraviglie, non comprendendo come in un ambiente prettamente romano entrasse l'idioma di Sofocle. — Egli è — così mi spiegò un cicerone autorevole — che, a quei tempi, il greco era l'idioma di moda, come oggidì il francese. […].

Entro il perimetro della città, tra la porta Capraria e la Suburbia, stanno le rovine di un bagno privato, di piccole dimensioni, ma notevole per la sua forma architettonica. Esternamente era un ottagono, internamente rotondo, […]. Un pezzo di colonna giace lì, in un angolo del bagno. Mi ci sedetti per riposare e meditare. Involontariamente il mio sguardo si fermò su quel tronco di granito. E lessi stentatamente un nome scolpitovi: «Antonio Danilo, 1870». Infelicissimo amico mio! Vent'anni fa, egli pure, vivo e sano e festeggiato per la sua intelligenza, passeggiava tra quelle macerie. Più tardi fu il nostro compagno prediletto all'università di Vienna. In tutti i convegni della studentesca brillava per la vivacità straordinaria del suo spirito. Due anni fa, morì con lo spirito offuscato, nel manicomio di Sebenico. Così finiscono anche le glorie dell'intelligenza! […].

E mentre scendete dal colle storico sulla strada che da Spalato lungo la riviera delle Castella conduce a Traù, vi si presentano ancora alcuni archi di un aquedotto [sic] romano, quasi completamente sepolto sotto una vigna. Ma nulla distrae il vostro spirito dalla pietosa contemplazione di quella città sepolta, all'infuori del fischio della locomotiva che vi richiama ai tempi moderni, e della prospettiva superba del golfo di Salona. Non vi par possibile che una città, la quale raggiungeva la metà della popolazione e della grandezza della nuova Roma, sia ora ridotta a poche case disperse che appena meritano il nome di villaggio. Ed implorate che ben presto la scienza archeologica sollevi tutto il velo funebre da quella gloriosa metropoli, affinchè ci riveli il vero posto che le spetta nei fatti della storia e dell'umanità" (pp. 129-133).