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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Cattaro

"Pure qui le Autorità civili e militari stavano pronte per complimentare il re. Queste erano particolarmente: il commissario circolare di 1.ma classe sig. consigliere di governo Gabriele Ivacich ed il comandante di fortezza colonnello in attività di servizio sig. Teodoro conte Karaczay di Valje-Szaka, cavaliere degli ordini imperiali russi di S. Anna 2.da classe e di S. Vladimiro 4.ta classe; del real ordine prussiano del merito militare, e del granducale badese del leone; commendatore dell’ordine costantiniano di S. Giorgio di Parma, ed imp. reg. ciambellano. Visitò qui pure la chiesa cattedrale di S. Trifone protettore della città, prendendo a considerare tutto ciò che in essa si trovava di raro, in ispecialità la bellissima cappella del Santo, ornata di marmi e buone scolture. Le reliquie di questo Santo vennero mostrate da monsignor vescovo, Stefano Paulovich Lucich. Dalla chiesa venne accompagnato al capitanato circolare, laddove si trattenne qualche tempo, visitando armi ed altri arnesi di quel paese. Il sig. commissario circolare Ivacich, fece approntare intanto qualche rinfresco, cosa di prima necessità in que’ luoghi di calore ardente all’estate. S. M. si risolse allora di salire il monte su cui sta il forte S. Giovanni, per osservarvi la vegetazione e le vicine vedute" (p. 70).

"Seguitammo ascendere sino al vertice del monte, qual forma l’ultimo e più altro limite della fortezza, 400 piedi circa sul livello del mare. Qui come per incanto, il monte che prima pareva formarvi parte dell’altro sovrapposto come appendice al Montenegro, si isola. Questa rupe colossale o monte isolato, è tagliato al di dietro perpendicolarmente, per cui presenta dall’alto un precipitoso abisso, da far rabbrividire e promuovere vertigini a chiunque si metta guardare verticalmente il fondo. Alla base di questo precipizio trovasi il villaggio di Spigliari di circa 20 famiglie, infelicemente situato, sia per avere dinanzi una si imponente muraglia, sia per trovarsi in posizione pessima, onde venga alle prese coi Montenegrini, i quali sebbene abbiano veduto opporsi molto corraggio, come si vuole, pure non potrebbero non approffittare di quell’infelice posizione.

Discesi, trovammo raunati in città tutti i capocomuni e capoville di que’ distretti e contrade, vestiti superbamente in costume nazionale, forniti cioè di schioppo, pistola ed hanciaro (coltello alla turca molto tagliente), armi tutte che alla foggia del vestir loro convengono, e queste scelte e riccamente guernite con maniglie d’argento. Vennero dalla superiorità locale presentati al re, il quale si degnò accoglierli, e far loro parola sugli abbigliamenti, sulle armi, sugli usi ed altro. Alcune donne di quei distretti, vestite nei differenti loro costumi, vennero anche presentate al cospetto del re. Gli stessi capoville schieraronsi dipoi sulla piazza, dinnanzi la casa del Capitano Circolare fecero l’esercizio militare coi propri fucili, comandati in lingua slava; il re dalla balaustrata della stessa casa, stava con piacere osservando le loro variate manovre. Deposti indi i fucili, cominciarono certa loro danza nazionale, nella quale mostrarono somma agilità e destrezza. Poscia il re visitò il Bazzaro dei Montenegrini, situato su d’un piazzale fuori della città, presso la così detta Portafiumera, ove tre volte per settimana si tiene mercato cioè, martedì, giovedì e sabbato.

A questo Bazzaro uomini e donne indistintamente, portano a vendere le loro derrate, consistenti in legna da fuoco, uova, presciutti, lardo, grascia di maiale, castradina, (carne di castrato salata ed affumicata, di cui si fa commercio in Trieste, Venezia ed altrove, ricercata dai naviganti e pescatori), cappucci, lepri, pernici con altri volatili e selvaggiume, sevo, miele, cera, trotte dei loro laghi, scoranze, (piccolo pesce salato ed affumicato, simile pressoché alla sardella), pomi di terra, foglie di Scodano (Rhus Coutins Lin.) per i conciapelli, vario pellame, lane, formaggio ea altro. Il Bazzaro si trovava sufficientemente fornito e frequentato; rimarcai maggiore il numero delle donne, le quali mostravano prontezza e disinvoltura inattesa parlando seco loro. Alle donne è permesso senza restrinzioni l’accesso in città, agli uomini all’incontro in fissato numero, e soltanto dopo deposte le armi loro al Bazzaro. […]. Il re ritornando visitò la chiesa greca, che trovò di buon gusto e molto ben tenuta" (pp. 72-74).

"Il rè passò poi alla riva del porto, fuori la così detta Portamarina, accompagnato da queste genti tutte, le quali coi loro schioppi in spalla gli facevano onorifico corredo, e tenevano l’ordine alla moltitudine di spettatori. Disceso col seguito nella barchetta del piroscafo addobbata decorosamente, diretta dal capitano Triscoli e remigata da’ suoi marinari, col vessillo sassone spiegato, risalì al bordo. Distaccato appena dalla riva, venne salutato da reiterate salve di colpi di fucile. Fatta sera, i capocomuni e capoville nelle loro barchette sfarzosamente addobbate, remigate da marinari bocchesi pressoché tutti di eguale vestito; sfilarono in perfetto ordine ed equa distanza, e girarono intorno il piroscafo, per fare un’altra volta omaggio al re, che si trovava sulla tolda a respirare un’aria più fresca di quella del giorno. Ogni capocomune e capovilla passando dinnanzi levavasi modestamente in piedi, e col beretto in mano faceva un rispettoso inchino, cui ad uno ad uno il re rispondeva nel modo più degnevole e lusinghiero. Le barchette erano più di 30; desse alquanto scostate si composero in fila, quasi corressero a regata, e rimbombar facevano l’aria di ripetuti colpi regolati di pistola e di fucile" (p. 75).

"Le autorità locali intente a prevenire i desiderj del re, si fecero sollecite di avvertire il Vladika (governatore) vescovo, monsignor Pietro Petrovich, il quale non tosto seppe trovarsi sì alto personaggio a Cattaro, e supponendo in lui desiderio di salire il Montenegro, fece conoscere all’autorità cattarine, che si troverebbe l’indomani in luogo prefisso sul suo territorio presso il confine austriaco. […].

La città di Cattaro è piccola, conta 4000 abitanti che professano per lo più la religione cattolica, ed è capo luogo di quel circolo; situata da una parte sulla riva del golfo del suo nome, e dall’altra sopra la roccia erta e ripida della montagna. Trovasi ben fortificata, circondata da mura e diffesa dal forte San Giovanni, che si congiunge alla città ed assai bene la fiancheggia. Le contrade sono piuttosto anguste, con piazze sufficientemente spaziose e ben selciate; le case ben fabbricate con fori alquanto piccoli, forse a cagione dei frequenti terremoti che colà sogliono sentire. E sede d’un vescovo, ed ha una cattedrale assai antica, una collegiata, un monastero, varie cappelle, un ospedale. Le caserme sono in ottimo stato, da poter alloggiare circa 2000 uomini. È fornita di tre porte, una che conduce al mare chiamata Portamarina, la seconda Portafiumera, ed è quella che conduce al Bazzar de’ Montenegrini, cioè verso la comune di Dobrota, la terza porta Gordichio, che si riferisce alla strada di Budua. Il porto è eccellente, e vi si fà un commercio animato, occupandosi la maggior parte del popolo, come quella dei litorali colla navigazione ed al traffico esteso, che esercitano con grossi e minuti navigli" (pp. 76-77).