IT | EN

Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Salona

"Non andò guari, che per sì delizioso cammino si arrivò a calcare il suolo dell’antica Salona. Il provvido capitano circolare fece che, anche nel ramo d’antiquaria, il re potesse avere notizia, mentre dispose che ivi si trovasse persona dotta in questo ramo di scienza, per spiegare all’augusta sua persona gli avanzi di quelle numerose rovine: fu questi il canonico Cioberneg.

Per prima lo condusse a vedere il sacello di San Cajo, situato a mano manca, alquanto fuori di strada, e le fece sul merito dottissima spiegazione. Di là sortì fra campi presso certi casali, ove era pure qualche cosa di rimarco. I villici di quei dispersi abituri, accortisi di persone forastiere che andavano in traccia di antichità, e senza saperne di più, venivano incontro recando a gara chi monete di rame antiche, chi lumi eterni di cotto romano od altro per vendere; dicevano, che volgendo la terra dei loro campi s’imbattono spessissimo in simili oggetti di antichità. Il consigliere aulico de Ammon comperò per semplice ricordo alcune di quelle cosarelle; lo stesso fece anche il colonnello de Mandelsloh.

Ritornati sulla via, il re si assise in carrozza e seguitossi interrotamente il cammino sino al villaggio di Salona, preceduti sempre dal battistrada a cavallo, che era il Serdar di Traù. […]. Il capovilla di Salona teneva schierati un drappello de’ suoi Panduri col fucile in spalla per ricevere il re. Parecchj del villaggio vicino recavano allora delle cose antiche, che dicevano scavate lavorando le proprie campagne, in quel suolo illustre e classico della distrutta Salona, patria dell’imperatore Diocleziano, un dì città capitale dell’Ulirio, di cui non più che cumuli di pietre e di macerie ricordano appena la sua esistenza; taluni conservano religiosamente nelle loro famiglie tali anticaglie senza la menoma idea di volersene privare, ciò con una certa gelosia ed ambizione, che pareva derivare sia dagli oggetti posseduti creduti rari, quindi calcolati di gran valore, sia tenuti in gran pregio per memoria della loro antica prosapia, immaginandosi fare dessi tutto dì parte di quelle antichissime famiglie, perciò conservarne gli avanzi; in che il villico di Salona ambisce, e differiva dagli altri del vicinato.

Il capovilla Pietro Speraz, villico benestante, uomo maturo, sodo, di forme colossali bellissime, vestito alla nazionale, cercava con studiata modestia d’avvicinarsi alla persona del re per attirarlo possibilmente nel villaggio, lusingando la nobilissima comitiva, esservi ancora degli oggetti più rari da vedersi. Faceva intanto portare incontro una bellissima urna di jalito ben conservata, trovata come diceva, da lui stesso in uno de’ suoi poderi, entro la quale rinvenne un’anello d’oro, che contorniava una pietra, avente incise due lettere iniziali una P. e l’altra S. corrispondenti al nome del trovatore proprietario. Mostrato ch’ebbe questi oggetti e dichiarato di non privarsene per qualunque prezzo, pregò il corteggio del re a volergli far conoscere, che nella sua vicina abitazione se si degnasse onorarla, vi sarebbero molti altri di quegli oggetti di archeologia, aggiungendo con arte simulata, che anche il governatore conte di Lilienberg gli aveva fatto altra volta l’onore di visitarli e supplicava voler impartirgli tanto favore. Il modo particolare d’esprimersi di quest’uomo, parlando non del tutto spedito la lingua italiana, o dirò meglio con un’accento della sua natia favella, determinò l’ottimo re a volerlo secondare. Lo Speraz nell’ebrezza della sua gioja, chiese il permesso di offerire del vino delle sue campagne, per far assaggiare al re e sua comitiva, che diceva con un certo tuono d’importanza, vino cresciuto sulle rovine dell’antica Salona. Il re degnossi di assaporare, e dietro il suo esempio tutti gli altri del seguito: infatti era buonissimo, e sebbene comune, pareva uno squisito liquore.

Il consigliere intimo cav. di Minkvitz, trasse allora una moneta di tasca che portava l’impronto di S. M. e la diede per memoria; che lo Speraz accettò con molto entusiasmo, e miratane la somiglianza, con tenerezza e rispetto la baciò poi disse, che dessa non abbandonerà giammai la sua casa. Lo Speraz nel colmo del suo giubilo e senza confondersi, presentò al re la sua moglie, che sebbene in costume, non trovavasi nel maggior lusso, giammai immaginandosi tanta condiscendenza e bontà in Federico Augusto re di Sassonia, a degnarsi di visitare la sua casa. Anche una figlia maritata, che casualmente lì trovavasi con un bambino in braccio, fu presentata al re. La grande statura di queste due donne, corrispondenti alle regolari forme, svelte e belle del marito e padre, e massimamente i lineamenti freschi, ben tracciati ed eleganti della figlia, destarono in tutti ammirazione. […].

Prima da scostarsi molto da Salona diremo, che questa città una volta importante e celebratissima, sia ridotta in oggi un semplice villaggio. La magnificenza sua vien ricordata dalle rotte colonne, capitelli distrutti, lapidi, urne ed altro, che incontransi fra le macerie di quelle rovine" (pp. 42-45).